Mi presento


Le mani e la testa

Le due cose non sono separate, in realtà, ma mi piace pensare alla mia vita come un'alternanza fra i tempi delle mani e i tempi della testa.

Un tempo delle mani è la passione per la cucina, fatta di alchemiche sperimentazioni, prima per necessità poi per piacere; un tempo della testa sono stati gli anni della laurea in Giurisprudenza. E' stato tempo di mani la maternità; di testa lo studio della gastronomia storica. I recenti tempi di testa hanno portato alla scrittura; il tempo delle mani di oggi è un bel gioco creativo che mi ha condotta qui.


Le mie esperienze artistiche, stemperate negli anni, per lo più mordi e fuggi da esploratrice solitaria e impaziente, hanno spaziato dal collage alla china; dall'incisione al raku, con brevissime parentesi di pittura su seta, terracotta, vetro, porcellana e persino un bellissimo stage sul vetro con l'artista Silvia Levenson, che ha rinverdito l'amicizia ma mi ha fatto comprendere che quel materiale non è nelle mie corde.


Quando arriva l'overdose, è il momento di ritirare colori, pennelli e quant'altro per usare solo lo strumento della testa, con il suo naturale prolungamento: il computer. E i libri, quelli sempre. Accantonare la confusione degli oggetti sparsi sul tavolo e passare alla pulizia della scrivania e del foglio elettronico. Che in passato era invece solo un quadernone a righe. Al più i volumi in consultazione, transitori, che tornano presto ai loro scaffali. Sono nate così le lezioni e le conferenze sul cibo e poi i racconti e i libri.


Un evento traumatico mi ha profondamente, oserei dire quasi radicalmente, cambiata. È l'inizio di quella che a tutti gli effetti mi sento di considerare come una second life, dominata però da una difensiva razionalità, a coprire anche aree di norma governate dal sentimento.


Solo tre anni fa ho sentito il bisogno di recuperare quella parte di me che avevo, in un certo senso, chiuso in un container. Ero davvero pronta a cambiare, dopo varie false partenze, a rischiare sentimenti, e quando dico sentimenti intendo tutta la sfera emotiva. Ma sentirsi pronta è una cosa e farlo davvero è un'altra. Chiamo questo processo, in sintesi, lo sdoganamento del cuore.

È di nuovo un tempo di mani, pronte a usare la rappresentazione simbolica. 


Il cuore

Una vera sfida: mai stata molto romantica, né sdolcinata o sdilinquita e il cuore evoca, in genere, a un'analisi superficiale, proprio le caratteristiche che non mi appartengono.

I cuori che volevo mostrare erano altri. E altro doveva essere il mezzo per esprimerli.

L'incontro fortunato con l'artista gioielliera Isabella Brancaccio mi ha portato all'architetto Noemi Forini, grande esperta di cartapesta e carte pregiate, che mi ha aperto un mondo. Avevo finalmente trovato il “mio” elemento. In più il lavoro manuale preparatorio è terapeutico. Si suda, sminuzzando contenitori di uova e di meloni e impastando questi coriandoli con la colla; manipolandoli come si fa con le contratture, fisiche o dell'anima, sino a ottenere un composto duttile, economico e riciclato capace di dar forma ai miei cuori.

L'idea del riciclo, intesa anche come capacità delle cose di trasmettere messaggi altri da sè, mi ha indicato la strada da seguire. Così le cassette di frutta raccolte nei mercati sono diventate i contenitori delle emozioni e delle storie che volevo raccontare e gli oggetti di uso quotidiano che, una volta esaurita la loro funzione, sono destinati a finire la loro vita nel cassonetto dell'indifferenziato, hanno ancora qualcosa da dire a chi li sa ascoltare.

Da qui la serie delle “Nature Secche”.

Una delle caratteristiche di questi lavori è la velatura, nello stesso colore del contenitore, degli scarti. A volte lascio scoperto solo un particolare, per me decisivo. Questa velatura è al tempo stesso nobilitazione e nascondimento del significato immediato per far affiorare quello allegorico.

L'ironia, la crudeltà e le spezie

Come esploro tutte le sfumature del cuore se non con l'ironia?

Che a ben guardare non è solo personale, ma di categoria, se così si può dire. È femminile. Dell'essere umano femmina in tutta la sua meravigliosa e a volte tragica complessità. Non si può sopravvivere senza una buona scorta di questo medicamento che cicatrizza l'anima. L'ironia può essere leggera e irridente, ma anche sottilmente crudele. Così il cuore non è più solo mio, ma della donna, quella che sorride e quella che piange, che a volte si sente in prigione, costruita da altri o da se stessa, poco importa: sono pur sempre fili di metallo o corde.

La passione per la cucina partecipa anche nei cuori, non solo nei miei libri, con l'inclusione di spezie intere o in polvere, petali di rose esotiche, noccioli e tè. In questo caso sono foglie che hanno già stillato il liquore profumato, sono state raccolte e nuovamente fatte seccare invece di finire nella pattumiera. Esauste ma non vinte, pronte ancora a dare.

Superare i limiti

I contenitori però, per loro definizione, hanno delle pareti. Se in un primo momento sono stati funzionali alla razionalità ancora difficile da eludere, sono ancora una sorta di cornice che protegge, mette ordine, un limite da cui ho avuto bisogno di evadere. Nascono così i cuori colorati che si espandono sulla parete in strato sottile, quasi trasparente. Dai rigorosi bianchi sbuca un arcobaleno che ha stupito anche me. La vita a colori è più divertente (ecco che mi riapproprio anche del gusto di usare le dita per spargere pastelli e gessi) e più rischiosa, ma assolutamente più libera dalle convenzioni.

Del resto sono una donna da incipit, sempre pronta a nuovi inizi.

 

 

Un anno dopo

 

L'esigenza di fissare il momento di lucidità profonda in cui il pensiero è chiaro, grazie a una rivelazione improvvisa e a volte imprevista, necessita di una tecnica che riunisca l'uso delle mani, dei colori e dei tessuti che abbiano storie di vita mia e della mia famiglia, in senso ampio, impigliate fra trama e ordito.

Nasce così la serie delle Atarassie.  Il termine, mutuato dalla filosofia, è qui usato in modo del tutto personale.

La tecnica che uso per cristallizzare la consapevolezza di fronte all'oggetto-sentimento indagato deve quindi essere necessariamente rapida. Ogni piega del tessuto è voluta, sofferta nel processo mentale che precede quell'equilibrio che raggiungo adagiando il tessuto in pochissimi minuti. Prendono vita quelle che si possono anche definire sculture da parete.

I sentimenti e le passioni si acquietano annidati e protetti nelle pieghe mentre il colore  li accarezza, li veste; si stempera o raggruma, si insinua negli anfratti.

Hanno raggiunto l'atarassia che durerà per sempre.

  

 

La fascinazione della discarica

Sono stata definita un'artista crossover che sperimenta tecniche varie per raggiungere i suoi obiettivi. L'ultimo innamoramento sono le discariche.

Gli oggetti abbandonati, scarti della società dei consumi o solo prodotto della pigrizia e inciviltà di chi non spreca tempo per uno smaltimento legale, scatenano in me l'immaginazione. Che è un affare pericoloso, perché mi si presentano scenari nuovi, prospettive inusuali di riciclo, che non è ripristino finalizzato al riuso, ma la possibilità di dare nuova vita alle cose. Una vita nobile, libera dagli schemi, come libera di osare mi sento io come artista. Ecco allora nascere i vari pannelli, con oggetti disparati, con legni carbonizzati, pezzi di ferro, stoffe scartate, chiavi, nastri, ingranaggi e quant'altro. Oggetti che si prestano molto bene anche per installazioni.

Così sono diventata raccoglitrice, sguinzagliata per la campagna.

E gli amici che mi conoscono, arricchiscono la mia collezione di "cianfrusaglie" con nuovi tesori ogni giorno. 

 

 

La macchina da cucire

Da quando la macchina da cucire, mia coscritta, dotata di mobile e pedali, ha deciso che non avrebbe nemmeno più cucito un orlo, ho sopperito con ago e filo o con l'intervento della sarta. Poi ho scoperto la fiber art o textile art: un nuovo campo da esplorare. Se mettiamo insieme la mia fama di raccoglitrice seriale che mi ha fatto arrivare quattro sacchi neri pieri di bandiere dismesse e la sperimentazione di arte morbida, mi occorreva una macchina da cucire degna di questo nome. Detto fatto. Funzioni base (per carità niente ricami e complicazioni inutili), portatile, elettrica: ciò che mi serviva per quello che già mi balenava in mente.  Così è nata l'opera NINETY-NINE, oltre centoventi metri di treccia multicolore, opera che viene donata alla Fondazione Campana dei Caduti di Rovereto. Sono pronta per la prossima installazione tessile!

 

Gabriella Maldifassi